Sono passati diversi anni dalla prima volta in cui si è sentito parlare di “Realtà Virtuale” e uno dei primissimi strumenti a presentarla è stato il visore VR.
La caratteristica principale di questo tipo di realtà è quella per cui il soggetto che la sperimenta non ha alcun tipo di contatto con il mondo esterno ma, anzi, ne è effettivamente escluso. Un esempio di questo tipo di esperienza sono gli HMD, visori indossabili, che coprono gran parte del volto umano e garantiscono un isolamento non solo visivo ma anche acustico e spaziale. Usati moltissimo a livello ludico e di fruizione museale, possono essere indossati per un lasso di tempo breve, proprio per le loro caratteristiche di isolamento dei sensi dalla realtà.
Quasi in contemporanea con la VR, in campo scientifico si lavora ad un’opzione tecnologica meno invasiva e alienante, che oggi conosciamo con il nome di “Realtà aumentata” (AR). Quest’ultima, in inglese Augmented reality, consente, tramite l’uso di particolari device digitali, di interagire in tempo reale con l’ambiente esterno che ne risulta aumentato; un esempio sono i Google Glass, un head mounted display (HMD) a forma di occhiali che non isola dal mondo circostante ma anzi connette l’utilizzatore a ciò che vede e vive in quel momento in modi nuovi, informativi, aumentati. Anche in questo caso, però, il nostro sistema sensoriale non sembra rispondere bene agli stimoli visivi: seppur non isolato, riscontra problematiche per le proiezioni visive delle informazioni. In altre parole, il senso di nausea è sempre dietro l’angolo.
In questi ultimi mesi, queste tecnologie lasciano il posto ad una loro velocissima evoluzione, quella che nel mondo tech ha preso il nome di “Extended Reality” (XR). Questo tipo di realtà estesa descrive tutti gli ambienti reali o virtuali creati digitalmente, una sorta di inglobatore di diverse tecnologie il cui teatro risiede in un universo virtuale: il recentemente noto Metaverso. Ad oggi, non esiste una definizione univoca e formalmente accettata di Metaverso, ma possiamo immaginarlo come una realtà alternativa, all’interno della quale è possibile interagire e, molto probabilmente in un futuro prossimo, anche ridefinire il modo in cui viviamo, lavoriamo e socializziamo.
Secondo alcune stime, entro il 2030 potremo passare più tempo all’interno del metaverso piuttosto che nel mondo reale; le persone potranno candidarsi per posizioni lavorative, guadagnarsi da vivere, fare nuove amicizie, costruirsi case e tirare su attività commerciali. Con questa premessa, molte aziende stanno investendo considerevoli quantità di denaro in questo settore: basti pensare, ad esempio, all’investimento realizzato da Facebook (oggi Meta) di circa 10 milioni di dollari per lo sviluppo di queste tecnologie. Ma Zuckerberg non è il solo ad aver visto le potenzialità di questo universo: le aziende del mondo videoludico stanno sperimentando questo mondo alternativo come forma ricreativa, le big come Nike o Adidas hanno all’attivo già diversi punti vendita funzionanti e alcune agenzie di comunicazione come la Wunderman Thompson di New York sta effettuando gli onboarding dei nuovi assunti, direttamente nella sua sede virtuale metaversica.
Le opportunità più incredibili, come sottolineato dal creator e designer Don Allen III, sono da scoprire all’interno del metaverso stesso. Questa occasione è fondamentale per coloro che posseggono già una base di competenze, ma che puntano, attraverso un approccio open minded, ad ampliare le proprie capacità e a sfruttare queste nuove risorse per interessanti possibilità di carriera e aperture di nuovi scenari:
“È importante dimostrare che puoi realizzare un prodotto e virtualizzarlo per diversi metaversi.”
Per migliorarsi e costruirsi opportunità lavorative e reddituali mai viste prima si affaccia però la necessità di una regolamentazione del sistema economico che disciplini la quotidianità delle transazioni: stiamo parlando della blockchain. Questa rappresenta la struttura su cui si fonda l’intero universo di transazioni virtuali che avvengono con le criptovalute. Nel web e nel metaverso, per esempio, una delle opportunità economiche più interessanti in questo senso è da individuare negli NFT.
Gli NFT (Non Fungible Token), sono dei certificati digitali, acquistabili tramite criptovaluta, che attestano la proprietà di un’opera digitale, la cui caratteristica è quella di essere unica. Nel web sono spesso utilizzati anche come mezzi di aggregatori sociali: possederne uno, spesso un pezzo di una serie tematica, funge da passepartout per entrare a far parte di una determinata community. Pensiamo alle Bored Ape, una nota serie di NFT “Collectibles”, cioè da collezione, generate da un algoritmo e dal valore di centinaia di dollari (milioni per le più rare).
Yacht Club, la community di riferimento, venne definito dal New Yorker ”una strana combinazione tra una esclusiva comunità online, un gruppo di azionisti e un’associazione di appassionati d’arte”. Un fenomeno in larga ascesa e dai confini poco definiti che è destinato ad accrescersi sempre di più.
VR, AR, XR e Metaverso sono tecnologie le cui applicazioni tecniche e concettuali sono per loro genesi e natura inscindibilmente legate. Sono l’una il passato dell’altra e costituiscono, insieme, il futuro di una Nuova Era tech. E come spesso accade all’inizio di un fenomeno rivoluzionario, gli usi che ne derivano sono confusi, spesso raffazzonati, ancora non definiti. Ma è proprio in questa roughness creativa, in questa argilla digitale nebulosa, che, nei prossimi tempi, verranno scolpite le nuove dinamiche quotidiane. Questo è il momento, informe e impreciso, in cui i più lungimiranti e sperimentali tra i creators possono guadagnarsi una fetta di mercato inaspettata, grazie ad un livellamento verso il basso delle opportunità che queste tecnologie, vecchie e nuove, stanno creando dal nulla.
Unica regola, non avere paura di sporcarsi le mani.