Se diciamo Fidel diciamo Che Guevara e se poi all’equazione aggiungiamo Cuba e la rivoluzione, è facile proiettarsi nello scenario che stiamo evocando. 3 anni dall’inizio del 1950, l’M 26-7, il nero e il rosso del logo e della guerriglia, 5, gli anni della rivolta e 5025 Khz di radio Rebelde, che tutt’oggi resiste.
Direte che tutto questo è noto ai più. Che ogni rivoluzione ha la sua deformazione e che tutti gli ismi sono accomunati dalla desinenza.
Ma noi catapultisti peschiamo nel campo del segno e dell’ingegno. Perché la storia è una materia complessa, la politica è in teoria una buona idea e la grafica è l’aspetto visivo del pensiero contemporaneo. Di qualsiasi epoca si parli.
Questo Castro lo sapeva bene e, dopo la presa di La Habana in uniforme verde oliva, si circondò di artisti e designer di fama internazionale. E parliamo di gente che vale: Felix René Mederos, Jane Norling, Elano Serrano, Gladys Acosta Àvila, Olivio Martìnez Viera. E potremmo citarne molti altri.
Ma per fare cosa, vi chiederete voi?
Per rispondere a questa domanda dobbiamo fare un salto nel 1966, esattamente il 3 gennaio di quell’anno, quando nel L’Avana si tenne la conferenza Tricontinentale dove, per la prima volta, si incontrarono leader e rappresentanti di movimenti indipendentisti di America Latina, Africa ed Asia, per discutere della loro condizione e delle loro prospettive per il futuro.
Come conseguenza di questo evento epocale nacque un’organizzazione chiamata l’OSPAAAL, Organizzazione di Solidarietà dei Popoli di Asia, Africa ed America Latina.
Lo scopo principale era quello di coordinare e dare impulso alla solidarietà attiva e rivoluzionaria tra i popoli del Terzo Mondo. Uno degli obiettivi era la creazione di una rivista che aveva il compito di mostrare e diffondere le conseguenze della politica capitalista occidentale.
Per questo motivo, prese vita la rivista Trincontinental che fu pubblicata, per la prima volta, nell’agosto del 1967.
Ecco spiegato come mai Castro si era circondato di artisti e designer internazionali: erano stati chiamati per realizzare manifesti e grafiche di rottura con tutta la produzione corrente, che fino al quel momento era fortemente influenzata dalla cultura americana.
Questo a Castro non andava giù e decise di cambiare radicalmente l’approccio alla comunicazione visiva nella Repubblica. Che Guevara, nominato ministro dell’industria, vietò la pubblicità statunitense e il regime Castrista utilizzò la grafica come strumento di propaganda in tutti gli ambiti sociali. L’idea di Fidel Castro era quella di creare e promuovere un nuovo senso identitario nella popolazione cubana. Il graphic design, sebbene a servizio di un determinato messaggio politico a voce solistica, ebbe la sua massima espressione proprio nelle illustrazioni presenti tra le pagine della rivista Tricontinental. L’ispirazione doveva pescare nell’immaginario degli eventi della rivoluzione e mostrar sostegno ai movimenti rivoluzionari di tutto il mondo, dal Vietnam al Mozambico, fino alla Palestina.
Lungi dalle cupezze del realismo sociale, il Tricontinental e le sue illustrazioni sono pop, i suoi posters hanno colori coraggiosi e brillanti e fanno della tecnica di stampa serigrafica la grande protagonista della produzione del magazine.
Le metafore visive utilizzate, per volere del regime, dovevano essere immediate e di facile interpretazione, ma come spesso accade, le limitazioni imposte alla creatività non fanno altro che potenziare esponenzialmente il suo effetto barricadero.
La rivista Tricontinental a cadenza bimestrale, pubblicata non solo in spagnolo, ma anche in inglese, francese e italiano (in Italia era distribuita dalla Libreria Feltrinelli a Milano) ha avuto il merito di informare e diffondere fatti e idee concernenti le lotte di liberazione e rivoluzionarie nei tre continenti.
E, aggiungiamo noi, lascia aperto uno spunto di riflessione sulla funzione del graphic design dal punto di vista sociale. La grafica, appendice visiva della comunicazione, gioca un ruolo fondamentale nell’evoluzione della società: è proprio il segno grafico, prima ancora che la scrittura, che gli esseri umani, fin dall’antichità, eleggono come tecnologia dell’espressione e del pensiero.
La capacità di comunicare è stata determinante per l’evoluzione dell’uomo e per il suo progresso culturale e ha caratterizzato la storia di ogni civiltà, trasformandone la cultura e le strutture sociali, fino a cambiare radicalmente le abitudini quotidiane di un numero sempre maggiore di persone.
A Cuba, l’approccio al graphic design, seppur stretto nelle logiche della propaganda politica, respira i colori della natura, narra le storie di volti e città, lontane e vicine nel mondo, denunciandone la sofferenza, la battaglia e la resistenza.
È, a tutti gli effetti, una testimonianza storica del sentire del tempo, che si esprime attraverso le forme e i toni, le font e gli slogan, le sovrapposizioni e i simbolismi. Denuncia l’impellenza di raccontare una storia, che come tutte le storie è soggettiva, parziale e per questo interessante.