Oggi gli Stati Uniti sono chiamati alle urne per le accese elezioni presidenziali del 2024 Kamala Harris VS Donald Trump.
La corsa alla Casa Bianca è sempre un evento che catalizza l’attenzione globale, ma raramente si pensa all’arte come strumento di Campagna.
In realtà, la storia delle elezioni americane è piena di esempi di manifesti elettorali che, oltre a promuovere un candidato, sono diventati vere e proprie icone culturali. Da Eugene McCarthy a Barack Obama, molti politici hanno saputo sfruttare l’arte per veicolare i propri messaggi e conquistare il cuore degli elettori.
Vi abbiamo selezionato alcuni manifesti elettorali (primarie e presidenziali) che sono diventate delle chicche artistiche.
Iniziamo il nostro viaggio con Eugene McCarthy, che nel 1968, si candidò come candidato per la pace alle primarie democratiche contro il presidente Lyndon Johnson. McCarthy perse la sua corsa alle primarie democratiche, ma ha sicuramente vinto la corsa per i poster innovativi. Questo è considerato tra i migliori degli anni ’60.
Il 1968 fu anche l’anno di Eldrige Cleaver, portavoce delle Black Panther, che il Partito radicale di sinistra per la Pace e la Libertà scelse come candidato presidenziale. Cleaver ottenne pochi voti, ma divenne un simbolo della ribellione afroamericana: fu infatti ferito in una sparatoria a seguito di un’imboscata dell’aprile 1968 a una stazione di polizia a Oakland, in California. Questo poster di Cleaver for President potrebbe non essere all’altezza di un museo d’arte, ma senza dubbio merita un posto in un museo dei font.
Nel 1972, la deputata Shirley Chisholm divenne la prima donna di colore a candidarsi alla presidenza di un importante partito. La deputata di Brooklyn, che si descriveva come “non comprata e non guidata”, vinse le primarie democratiche del New Jersey, ma perse la nomination a favore di George McGovern. È sopravvissuta a tre tentativi di omicidio durante quella campagna. Questo memorabile poster, creato dall’attivista ex suora Mary Corita Kent, reca incisa una poesia di Langston Hughes.
Protagonista del prossimo poster è proprio George McGovern che vinse le primarie democratiche per correre alla Casa Bianca nel 1972.
In quegli anni il Partito Democratico viveva una grossa crisi. Il movimento per i diritti civili era in subbuglio, la controcultura si stava rapidamente disintegrando e il movimento contro la guerra era nel caos. La candidatura di McGovern fu ben vista dai vertici del partito. Seguì un’esplosione di immagini audaci, tra cui Robin McGovern, che circolò come poster principale della campagna presidenziale. Il risultato delle elezioni fu una sonora sconfitta contro Richard Nixon con una valanga di voti alle elezioni generali.
Il giornalista e autore Hunter S. Thompson, parlando in seguito con McGovern di ciò che avrebbe potuto portare a una perdita così decisiva, chiese: “Pensi di aver condotto una campagna del ’68 nel ’72?” McGovern ha ammesso che forse era proprio così. Gli americani si erano semplicemente spostati troppo verso il centrodestra in reazione alle turbolenze degli anni ’60.
Dopo la sconfitta di McGovern, i manifesti delle campagne creative subirono una pausa generale.
Nel 1984, la democratica Geraldine Ferraro divenne la prima donna nominata candidata alla vicepresidenza di un importante partito. Questo poster, che riproduce il famoso dipinto francese La libertà che guida il popolo, la raffigura come Lady Liberty che guida la carica per l’emendamento sulla parità di diritti. Alla fine, lei e il candidato Walter Mondale persero contro Ronald Reagan e George H. W. Bush, quasi quanto McGovern perse contro Nixon nel 1972.
Restiamo al 1984.
A correre contro Mondale nelle primarie del 1984 c’era il Rev. Jesse Jackson, il primo candidato nero valido (la candidatura di Chisholm era così in anticipo sui tempi che anche lei ha ammesso di non avere alcuna possibilità). L’artista Jack Hammer creò questa immagine per rappresentare l’idea di inclusività di Jackson: la cosiddetta coalizione arcobaleno.
Jackson si candidò di nuovo nel 1988, con ottimi risultati alle primarie che però non bastarono visto che fu superato da Michael Dukakis, che ottenne circa il 42% dei voti.
Con Michale Dukakis, nel 1988, ci fu la prima incursione del famoso artista Roy Lichtenstein nei manifesti della campagna presidenziale, (sebbene la rivista Time gli avesse precedentemente commissionato una copertina di Robert Kennedy durante la corsa di Kennedy del 1968). Dukakis vinse la nomination democratica, ma l’apporto di Lichtenstein non fu sufficiente a salvarlo dalla sconfitta per mano di George H. W. Bush.
L’artista creerà in seguito un’immagine dello Studio Ovale a beneficio del Comitato Nazionale Democratico durante la fortunata campagna Clinton/Gore del 1992.
Durante il suo tentativo di rielezione nel 1996, il presidente Bill Clinton, si recò alla convention democratica di Chicago in treno dal West Virginia via Michigan. Questo poster art déco annunciava il suo arrivo nello stato del Great Lake.
Questo poster moderno per la candidatura alla rielezione di George W. Bush voleva trasmettere il concetto di semplicità aziendale. Gli adesivi per paraurti con la “W” argentata hanno inondato la nazione. In un momento in cui il terrorismo e la guerra in Iraq pesavano pesantemente sulle menti degli elettori, Bush ha utilizzato sia la televisione che la pubblicità sulla stampa per presentarsi come un leader sempre presente nei momenti difficili.
La campagna di Hillary Clinton del 2008 ha fatto poco uso dei manifesti per assicurarsi la nomination. Ma il suo sito web ha venduto ai suoi fan diversi poster di stock.
Questo è stato creato da Tony Puryear, scrittore e artista di Los Angeles.
Barak Obama, che presto sarebbe diventato il primo presidente nero della nazione, ispirò un’ondata artistica che rivaleggiava con quella dell’era McCarthy-McGovern.
Wert scrive che Obama ha infranto la cosiddetta regola di McGovern: “quei manifesti innovativi e fighi garantivano una perdita”. Obama non ha avuto solo il sostegno degli artisti; aveva un abile team di marketing che controllava strettamente la sua immagine. Il team Obama ha anche creato l’iconico logo “O” e ha commissionato il poster Hope di Shepard Fairey, cosa che avrebbe messo l’artista nei guai per questioni di copyright sulle foto. In questa stampa meno conosciuta, l’artista Ron English ha sovrapposto una mappa del Midwest a un’immagine ibrida di Obama e Lincoln. Il risultato: “Abraham Obama”.
I poster elettorali americani non sono solo un mezzo per promuovere un candidato, ma un vero e proprio specchio delle epoche che hanno segnato la storia degli Stati Uniti. Da immagini simboliche che uniscono idealismo e patriottismo, a composizioni artistiche che raccontano cambiamenti sociali e politici, questi manifesti ci mostrano come l’arte possa essere uno strumento potente di comunicazione politica.
Ogni poster è, in fin dei conti, una testimonianza visiva di un momento storico e, come tali, restano parte integrante della memoria collettiva del paese. L’evoluzione di questi design è tanto affascinante quanto il percorso stesso della “democrazia americana”, una continua mescolanza tra arte, politica e cultura. E se, come si dice, “un’immagine vale più di mille parole”, allora è chiaro che i poster elettorali sono molto più di semplici immagini: sono frammenti di storia, messaggeri di speranza e, talvolta, simboli di cambiamento.