In My Humble Opinion: UX maturity, conversazione con Leonardo Mattei

11/06/2021 @Nonsentolasveglia

6. min read

Il design e la UX maturity


 

 

Ciao Leo e benvenuto al secondo appuntamento di IMHO, la nostra rubrica di interviste a professionisti del mondo della comunicazione, del design e non solo. Grazie di essere qui! Che ne dici di farci una piccola introduzione su di te?

 

Il mio percorso è simile al tuo. Ci conosciamo da un bel po’ di tempo :). Ho studiato design e fotografia all’ILAS (Istituto Superiore di  Comunicazione Visiva) a Napoli e poi da lì ho cominciato ad avvicinarmi al mondo del design. Ho iniziato come graphic designer collaborando con varie agenzie di comunicazione e clienti locali e, dopo questo periodo come grafico, mi sono avvicinato al mondo del web occupandomi più di visual design. In seguito, mi sono avvicinato alla psicologia dell’interazione (pensando “voglio contribuire a migliorare il mondo”) e quindi ho fatto la mia transizione al product design, dove, già dall’Italia, ho iniziato alcune collaborazioni con aziende estere; e poiché volevo intraprendere una carriera nella User Experience e nel product design in generale, ho deciso di trasferirmi a Londra, che è ancora uno degli hub più grandi al mondo del settore. E adesso prendo il tè alle 5.

 

immagine di Leonardo Mattei

Leonardo Mattei, Principal Product Designer based in London

 

Ora qual è il tuo ruolo specifico?

 

Ora sono Principal Product Designer e sono specializzato sulla parte strategica.  Gestisco un team di 8 persone e lavoro in una delle aziende più grandi in UK nel settore dei media e dell’informazione.

 

Volevo approfittare della tua presenza per avere una descrizione che sia oggettiva, ma anche soggettiva, di cos’è per te il design e cosa significa fare design.

 

Ti devo dare una definizione di design? Difficilissimo! C’è chi dice “Good design can save lives and bad design can kill“. Quindi bisogna essere sempre responsabili e consapevoli di quello che si sta facendo e, sopratutto, capire se quello che si sta introducendo nel mondo ha un impatto positivo o negativo. Secondo me, la UX non è una branca del design. UX significa User Experience e quindi è l’esperienza che un qualsiasi utente ha quando entra in contatto con un prodotto o servizio. Il design fa parte della UX come fanno parte della UX, ad esempio, le decisioni che si prendono intorno un tavolo aziendale o come una linea di codice che un developer scrive. Bisogna, secondo me, espandere il concetto di UX a tutto ciò che concerne l’interazione di un utente con un prodotto o servizio. Il termine UX esiste da molto tempo. Adesso c’è stato un boom in seguito al boom della digitalizzazione, dopo tutto quello che è successo nella Silicon Valley negli ultimi decenni intendo. Erano termini che giù utilizzavano Don Norman o Dieter Rams tempo fa. Se io faccio il design di una tazza come puoi non prendere in considerazione la UX? UX significa proprio come interagisci con quella tazza, in che modo la usi per bere. 

 

“La UX non è una branca del design. UX significa User Experience e quindi è l’esperienza che un qualsiasi utente ha quando entra in contatto con un prodotto o servizio.”

 

Tu hai da poco lanciato il tuo podcast sulla UX Maturity. Mi ha colpito la definizione di UX Maturity perché non l’avevo mai sentita. Spiegaci cos’è la UX Maturity e come mai hai sentito il bisogno di parlarne.

 

La mia definizione di UX Maturity è il livello di consapevolezza e di centricità sugli utenti che un ente o un’azienda ha al suo interno. Vedi in che modo una qualsiasi azienda prende le decisioni e come il design viene considerato nel decision making: quello ti dà un senso di quanto l’azienda o organizzazione sia matura dal punto di vista del design e della UX. 

 

“La UX Maturity è il livello di consapevolezza e di centricità sugli utenti che un ente o un’azienda ha raggiunto al suo interno”

 

Ho sentito il dovere di parlarne perché penso che aumentando il livello di maturità sul design e sulla UX,  a tutti i livelli, nelle agenzie, nelle grandi aziende, nei governi o negli enti pubblici significa offrire alle persone servizi migliori e, di conseguenza, migliorare le loro vite. Tra l’altro, dal punto di vista dell’azienda, essere più user centred ti dà un vantaggio non indifferente sui competitors. Più design lead sei e più ti rendi conto di come i tuoi utenti interagiscono con quello che fai. Essere più maturo dal punto di vista del design ti porta ad avere questo vantaggio.

 

Copertina podcast UX Maturity

 

Tu parli di users come utenti finali, cioè coloro i quali usano il prodotto o servizio. Però siamo sicuri che gli users finali siano gli unici users di questo percorso? Quando io lavoravo da Kadence International LTD a Londra, un’azienda che fa ricerca di marketing, eravamo pochissimi nel reparto design rispetto agli altri colleghi. Per noi era molto difficile, all’interno dell’azienda stessa, far capire l’importanza di determinate cose per produrre un servizio significativo per gli utenti.

 

Gli utenti non sono unicamente gli utenti finali del tuo prodotto. Penso che questa è stata un po’ la pecca dei designers di questi tempi. Come industria siamo noi (designers) a non essere maturi al 100%. Dobbiamo fare comunque strada; diciamo sempre che vogliamo questo “sit at the table“, che vogliamo sederci al tavolo delle decisioni, ma storicamente, molti designers, si sono seduti a quel tavolo, ma il loro contributo non è stato poi di valore. Quello che dobbiamo cominciare a fare (molte aziende già lo fanno) è capirne un po’ di più di business, capire come la realtà per cui stai lavorando fa soldi e qual è il futuro e la strategia del progetto. Come designers, dobbiamo essere un po’ più strategici e capire quali sono gli obiettivi aziendali e in che modo possiamo dare un contributo significativo.

 

“Siamo noi designers a non essere maturi al 100%. Dobbiamo capirne un po’ più di business ed essere più strategici per contribuire al futuro dell’azienda in cui lavoriamo”

 

Nel secondo episodio del tuo podcast costruisci una sorta di identikit degli users, che si divide sostanzialmente in due tipologie, i colleghi del reparto business dell’azienda e gli utilizzatori finali del prodotto e servizio. A questo proposito, aggiungo io, nelle agenzie di comunicazione, potrebbe profilarsi un ulteriore user che i designers devono tenere in alta considerazione che è il cliente.

Con il cliente, nelle agenzie di comunicazione, c’è un problema relazionale, di linguaggio. Nella maggior parte dei casi, da un lato non c’è un giusto livello di UX Maturity da parte del designer e dall’altro ci si confronta sempre con una certa mancanza di conoscenza della disciplina del design da parte del cliente. Ne viene fuori uno scontro, spesso irrinunciabile, che mortifica il prodotto/servizio finale.

Secondo te, la UX Maturity dovrebbe essere utilizzata anche nelle agenzie di comunicazione quale strumento di miglioramento relazionale/aziendale?

 

Hai toccato un punto importante: il nostro ruolo da designer dovrebbe essere quello di capire bene di business e capire autonomamente la fattibilità di un progetto. Lo switch che dobbiamo fare è quello di capire cosa è meglio per l’azienda e per gli utenti in modo tale da poter dare una raccomandazione e lavorare insieme ad un leadership group per venir fuori con una strategia. Idealmente un leadership group non dovrebbe venire da te con un brief, ma dovresti essere tu designer a mettere su un brief. Questa cosa, secondo me, è possibile anche nelle agenzie di comunicazione. 

La relazione con un cliente migliora tantissimo nel momento in cui tu dimostri di capire il cliente e cosa il suo business sta facendo, in che modo immagina l’azienda nel futuro, perché è venuto da te, cosa si aspetta dai risultati; più capiamo il loro punto di vista e più riusciremo a realizzare un progetto fattibile che porti benefici agli utenti e anche al cliente. Noi portiamo avanti i processi e facciamo sì che le persone lavorino insieme per definire un determinato progetto o prodotto.

 

“La relazione con un cliente migliora tantissimo nel momento in cui dimostri di capire in cosa consiste il suo business”

 

Spesso nel nostro settore si lambisce anche un lato artistico. Penso ad un graphic design più brutalista o massimalista, fatto di sovrapposizioni, di non leggibilità tutti aspetti che ne enfatizzano l’emozionalità. Mi viene in mente il design di David Carson, per esempio. In questo senso, come vedi questo lato del design che non segue le regole? Ti senti in contrasto o pensi siano due lati della stessa medaglia?

 

Molto dipende dal messaggio che tu vuoi far arrivare. Mi viene in mente “Artista e Designer” di Bruno Munari. Munari afferma proprio che il designer è un artista, crea qualcosa che prima non esisteva. E questa è una forma d’arte. Ci sono diversi linguaggi ovviamente.

 

Copertina del libro Artista e designer di Bruno Munari

Artista e designer,  Bruno Munari

 

Io sono un grande fan del Brutalismo. Ma, in generale, non sono molto a favore dei vari trend che si generano per moda (flat design, neomorfismo, ecc.). Nel momento in cui decidi qual è il messaggio che vuoi trasmetter e il modo in cui vuoi farlo, se la comunicazione è coerente ha senso tutto ciò che hai detto. Questo è più un discorso sull’ estetica che sulla UX. Don Norman, nel libro “Emotional design. Perché amiamo (o odiamo) gli oggetti della vita quotidiana”, fa l’esempio della Mini Cooper. Il vecchio modello aveva parecchi problemi, ma quello su cui verteva la comunicazione della Mini era “questa macchina ha un sacco di difetti, però comprala lo stesso”. Quello che aveva la Mini Cooper è che era divertentissima da guidare e questo la faceva apparire più performante di altre automobili. Prendiamo ad esempio anche Apple: ha fatto delle innovazioni, ma molte di queste si basano su tecnologie già esistenti come il touch screen, i lettori MP3. Quello che è molto forte in Apple è l’esperienza utente, con un design super fluido; di conseguenza, noi percepiamo l’estetica come perfetto funzionamento del prodotto. Il modo in cui vendono è merito del design.

 

copertina del libro Emotional Design

Emotional Design, Donald Norman

 

Leo procediamo verso le battute finali. Tu sei metà napoletano e metà londinese ormai. Come si lavora da designer a Londra? Quali sono i punti di forza di Londra rispetto a Napoli, all’Italia? E cosa nell’essere napoletano, ti aiutato ad emergere nella tua carriera e nelle tue relazioni in Inghilterra?

 

Bella domanda! Essere napoletano ti aiuta a cavartela in qualsiasi situazione. Dal punto di vista lavorativo qui c’è molta cultura del design ed è una cosa ironica: se ci pensi l’Italia è il design. Se penso a molti designers del passato che mi hanno ispirato penso a Massimo Vignelli, Bruno Munari o Bob Noorda che è stato per moltissimi anni in Italia. E sono tutte delle personalità iconiche nel mondo del design. Mi rattrista un po’ che l’Italia non sia così avanti rispetto ad altri paesi. Se vuoi fare product design o UX, gli hub più importanti al mondo sono San Francisco, Londra, Singapore o il Giappone. Dal punto di vista tecnico i leaders sono a San Francisco. In Italia è un problema di educazione al design, ma non solo. Ci sono anche altri problemi legati a dove confluiscono gli investimenti. Purtroppo però anche formarsi è molto difficile, a differenza di Londra.

 

“In Italia è un problema di educazione al design e di dove confluiscono gli investimenti. Anche formarsi è molto difficile a differenza di Londra”

 

Pensi o hai mai pensato di tornare in Italia?

 

Non considero l’idea di tornare in Italia perché voglio stare in contesti che mi diano modo di premere ancora sull’acceleratore nella mia carriera. Londra mi ha dato tantissimo come città e continua a darmi tantissimo e, al momento, non prevedo di trasferirmi altrove. Ma, per il futuro, non escludo niente. In Italia sicuramente in vacanza.

 

Siamo alle top 5. La prima: i designers.

 

Il primo è Massimo Vignelli per la mia ossessione per la tipografia. Al secondo posto sicuramente Don Norman per tutto quello che ha scritto. Terzo ci metto Jared Spool soprattutto per quello che sta facendo adesso proprio sulla maturità e sulla leadership. Ha fondato da poco questo gruppo che si chiama “Leaders of Awesomeness” dove ci sono tantissimi designers e leaders e parla di strategia, di maturità, di metriche. Come quarto Dieter Rams perché è un’icona e non puoi non citarlo. Tutte le forme più iconiche provengono dalla sua mente. Come ultimo posto Bruno Munari e una special mention per Julie Zhuo che sta iniziando adesso una grossa carriera da leader ed ho molto apprezzato il suo libro “The Making of a Manager”. Ora mi sento in colpa, ce ne sarabbero così tanti altri bravissimi che non ho citato.

 

Copertina del libro The Making of a Manager

The Making of a Manager, Julie Zhuo

 

La seconda top five: i libri per i designers.

 

Come fondamentali ti dico “The Design of Everyday Things” di Don Norman, “About Face” di Alan Cooper, “Universal Principles of Design” “Artista e designer” di Bruno Munari.

 

Leo io ti ringrazio tantissimo per essere stato con noi. Un saluto grande.

 

Grazie a te. All right. Ciao!